Il mese di marzo è da tradizione dedicato al glorioso San Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo della Beata Vergine Maria. In quest’anno “giuseppino” indetto da Papa Francesco ci prepariamo a festeggiare con particolari onori, come il Santo Padre ci esorta, colui che fu il custode della Sacra Famiglia di Nazaret. Anche questa volta, la nostra amata città di Roma, ci porge dal suo forziere di bellezza una piccola gemma di particolare splendore: la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano.
Situata alle pendici del Campidoglio, la chiesa sorge sopra l’antichissimo carcere mamertino dove, i nemici illustri di Roma, venivano rinchiusi in attesa di essere giudicati. Ebbene, la tradizione ci dice che in questo preciso luogo, vennero rinchiusi anche San Pietro e San Paolo i quali, nonostante le catene, convertirono i loro carcerieri e altri quarantasette pagani. Questo luogo fu poi consacrato da Papa Silvestro I (IV secolo) e, immediatamente, divenne meta di ingenti pellegrinaggi.
Quando, il 1°maggio del 1540 nacque a Roma la Compagnia di San Giuseppe, composta da trenta falegnami, venne loro assegnata la piccola chiesa di San Pietro al Mamertino. Tuttavia, come bene possiamo immaginare, la struttura del carcere era alquanto disagevole per le necessità della compagnia. Pertanto, già dal 1546 i registri della Compagnia dei falegnami attestano l’esistenza di lavori per realizzare una chiesa al di sopra del carcere mamertino. In ogni modo, non molto si sa di quali fossero le fattezze della chiesa primitiva se non grazie a delle antiche vedute del ‘500.
Con il tempo il numero dei falegnami annessi alla Compagnia crebbe sempre di più, tanto da poter pensare di iniziare la costruzione di una nuova e più degna chiesa dedicata a San Giuseppe loro patrono. I lavori della chiesa nuova iniziarono nel 1597 anno in cui Giovanni Battista Montani fornì i primi prospetti architettonici. L’aspetto attuale della facciata è rimasto inalterato rispetto a quanto ad allora; l’unico elemento che è venuto meno è stata la doppia scalinata di accesso alla Chiesa. Difatti, per via del piano urbanistico del 1932 volto alla sistemazione del Foro di Cesare, non ne rimane che una. La chiesa si presenta a pianta rettangolare con due cappelle a nicchia per lato e un’abside originariamente quadrangolare divenuto poi semicircolare sormontato da una calotta semisferica. Tutta la chiesa narra le vicende più significative che hanno segnato la vita di San Giuseppe e, danno onore, come i falegnami volevano, al loro protettore.
Ed ora, in quest’anno giuseppino, mentre entriamo virtualmente all’interno della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami lasciamoci guidare dalle parole di Papa Francesco contenute nella lettera apostolica Patris Corde e gustiamo così tutta la bellezza dell’antico e sempre nuovo connubio tra arte e fede.
Trovandoci dinanzi alla prima cappella sulla sinistra, contente la tela dello Sposalizio della Vergine di Orazio Bianchi ci vengono incontro le parole di Papa Francesco che, quasi ad introduzione, ci aiutano a comprendere la grandezza di San Giuseppe che «consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù» (PC 1). È in questo momento dunque, fissato mirabilmente dalla pittura, che possiamo contemplare il momento che sancisce la definitiva unione delle vite di Maria e di Giuseppe: esistenze consumate interamente e totalmente al servizio del disegno salvifico di Dio. Proseguendo, incontriamo nella seconda cappella di sinistra il neonato Gesù Bambino che, nella grotta di Betlemme, viene dato alla luce da Maria Santissima. La scena della Natività (1650), rappresentata dal Maratti, è uno dei tesori di questa chiesa e ci aiuta a riflettere sulle condizioni nelle quali San Giuseppe si trovò ad adoperarsi per cercare di dare un luogo degno alla nascita al Figlio di Dio. Come non commuoversi dunque dinanzi al «Figlio dell’Onnipotente che viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. [Gesù] si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino» (PC 5).
Passando poi alle pareti della centrale cappella maggiore ammiriamo i due affreschi di C. Mariani, entrambi datati al 1883: Il viaggio a Betlemme e, di fronte, La Bottega di San Giuseppe. La peculiare e unica elezione a divenire il custode del Figlio di Dio e della sua Santissima Madre, difatti, vede San Giuseppe superare numerosi pericoli e le svariate prove perché sa – e ce lo insegna- che «Gesù e Maria sua Madre sono il tesoro più prezioso della nostra fede» (PC 5). Nonostante tutto Giuseppe non si abbatte mai e sempre, confidando nella Divina Provvidenza, reagirà alle controversie della vita «non cercando scorciatoie, ma affrontando “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità» (PC 4). Inoltre, la laboriosità di Giuseppe, nel nascondimento di Nazaret, oltre ad insegnare a Gesù il valore e la dignità del lavoro gli insegna «nel suo ruolo di capo famiglia ad essere sottomesso ai genitori […] e a compiere sempre la volontà del Padre» (PC 3); cosa che egli farà fino al patibolo della croce.
Continuando poi a muovere lo sguardo in senso orario ci soffermiamo nella seconda cappella di destra dove, G. Ghezzi immortala La Sacra Famiglia con Sant’Anna (1692); opera questa che ancora una volta ci aiuta a comprendere un aspetto importantissimo del padre putativo di Gesù: il suo essere padre castissimo. Difatti, mentre in prima linea ci sono Maria e Sant’Anna che intrattengono il piccolo Gesù, dietro, sulla sinistra, in piedi, si vede Giuseppe che veglia su di loro. Egli vive così, sempre un passo indietro, nell’ombra. Un’ombra però che non è fuggevolezza bensì attenta e vigile custodia. Difatti, «essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze» (PC 7).
Questa vita, continuamente vissuta sulla scia di quel “Non temere Giuseppe” (Mt 1,20) rivoltogli dall’angelo culminerà nella consolante tela del Transito di San Giuseppe, dipinta da Bartolomeo Colombo nella prima cappella di destra. Qui, ai lati di Giuseppe morente si trovano coloro per i quali l’umile carpentiere di Nazaret aveva dato tutto: Maria, la sua amatissima sposa, e, dal lato opposto, Gesù. Giuseppe aveva sempre saputo che quel Bambino che aveva visto crescere era stato affidato alle sue cure e che egli, per Gesù, era solo l’ombra del Padre celeste. Quale grande beatitudine, tuttavia, avrà riservato Dio Padre a colui che qui in terra accolse con tanto amore il Figlio di Dio e quale grande beatitudine riserverà anche a noi se, sull’esempio di Giuseppe, faremo di Gesù e di Maria il nostro tesoro!
Seguiamo quindi l’esortazione di Papa Francesco per quest’anno giuseppino; scopriamo la potente intercessione del padre Putativo del Redentore e, come da molti santi è sovente raccomandato: Ite ad Joseph, Andate da Giuseppe ed egli, per l’amore che Gesù gli porta, non mancherà di intercedere per noi.
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